Repubblica intervista Vecchioni “Felicità: battersi contro le cose che sono sbagliate”

12
Nov
2016
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Una bellissima intervista all’artista Roberto Vecchioni è stata pubblicata sul quotidiano Repubblica.it; a pochi giorni dall’uscita del nuovo cofanetto musicale di racconti “Canzoni per i figli” a cui si accompagna il volume “La vita che si ama”.

Un Vecchioni che si racconta attraverso il suo successo lavorativo ma non solo, anche per quanto riguarda i punti cardini della sua vita. Qui di seguito l’intervista completa con le sue dichiarazioni su famiglia, musica, felicità e amici.

Perché oggi? È forse un segno di maturità?

La musica non è solo un contenitore che ferma le immagini importanti per noi e per quelli che vengono dopo. Non c’è modo migliore di fotografare noi, le nostre lotte, la nostra vita, il nostro destino, ci sono altre arti è vero, ma sono momenti, la poesia, la pittura… ma prendiamo un avvenimento musicale, la storia di una vita raccontata in una canzone, come ha fatto Dylan, ad esempio“.

Detta così sembrerebbe la perfetta motivazione per il Nobel assegnato a Dylan

Ma come Dylan, in piccolo, agiamo tutti: io, De Gregori, Guccini, abbiamo un percorso che non è solitario, legato a un solo momento. La musica difende i diritti, la solidarietà, è questo il nesso con i figli, che sono la continuazione di tutte le speranze, gioie, offese che abbiamo subito, così come di quello che abbiamo conquistato. Vorrei vederli lottare sempre. Questa è la mia idea di felicità: battersi contro le cose che sono sbagliate“.

Nel libro sviluppa questa idea, e anche nel brano Figlia. Dunque la felicità è nella battaglia?

Sì la canzone dice “non voglio che tu sia felice, ma sempre contro finché ti lasciano la voce”, perché la felicità non è rimanere immobili, è una battaglia costante per ricostruirsi, per non darsi per persi e queste sono le cose che tenti di passare ai figli“.

Sembrerebbe un tema su cui non si riflette abbastanza oggi. È passato di moda?

Tanti ne hanno cantato in passato a partire dai francesi, ma anche gli italiani, pensi a Baglioni, Jovanotti… In tanti hanno cantato dei figli o per i figli, ma spesso come una continuazione di sé, oppure come un fatto sociale, o per festeggiare un figlio appena nato. Il mio è un disco di figli grandi, con un passato, un dialogo, un futuro, anche un riconoscimento di colpe da parte mia, di valori. Riconosco di avergli dato cose “frizzanti”, ma poco solide“.

Si dice che gli artisti, presi come sono dal proprio ego, siano difficilmente buoni genitori. Lei pensa di essere stato un buon padre?

Credo di sì, o almeno questo mi dicono i miei figli. Non lo dice mia moglie, ma loro sì. Certo la realtà gliel’ho insegnata poco, ma qualcosa ho trasmesso: soprattutto i sogni e il gioco, che sono grandi risorse, e infatti quando dico di aver fatto poco per loro i miei figli si ribellano: ci hai dato quello che dovevi darci, dicono, la capacità di spaziare, di aprirci, e allora sono felice di essere stato un padre di questo genere anche se in qualcosa ho mancato“. 

Ma perché oggi si parla poco di rapporti, che invece sembrerebbero una questione cruciale?

È passato di moda perché è scomodo. Si dà per scontato che siamo divisi dai figli da un burrone di comunicazione, da un’incolmabile diversità culturale, ma non è così. Loro usano tecnologie diverse dalle nostre, ma i principi sentimentali sono sempre gli stessi. Magari pensiamo troppo a noi stessi – ma questo lo fanno più i padri, le madri meno – all’avvenire, al successo, al nostro io, a guadagnare, ma è un rapporto che va ripreso a ogni costo, perché non si tratta solo di padri e figli, ma di presente e futuro“.

Cosa dovremmo dare di più ai nostri figli?

Soprattutto cultura. Il senso di una centralità nel mondo, fatta anche di strumenti per difendersi quando le cose vanno male. Umanesimo. Nulla vale più di poche, semplici domande: cosa sto facendo? Perché lo faccio? Sapendosi dare una risposta“.

Rimpiange gli anni d’oro della canzone, quando dominava la qualità?

Ho vissuto tutto. Ho conosciuto tutti. Gli anni 70 furono splendidi e faticosi, forse troppo politicizzati. Un momento d’oro interrotto bruscamente dagli anni di piombo. Poi si riapprezzò il privato che aveva una straordinaria gamma di cose da dire: e i cantautori sapevano farlo meglio di tutti“.

Chi sono i suoi amici?

Certamente Guccini. Insieme abbiamo dato vita al Premio Tenco. Abbiamo gli stessi miti, Borges, Hemingway, vorrei cantare con lui, ma non ne vuole più sapere. Così come Ivano Fossati. Mi dispiace molto. E io invece ho ancora tanta voglia di cantare“.