Intervista a Raphael Gualazzi in vista del concerto Venaria Real Music

02
Lug
2014
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E’ iniziato il 26 giugno e continuerà fino a 31 luglio 2014 il Venaria Real Music, lo storico festival pop jazz che da diversi anni anima le serate torinesi e il panorama musicale nazionale e internazionale. 

Tra i grandi nomi del genere troviamo quelli di Stefano BollaniEzio Bosso e Mario Brunello, David Hansen con l’Orchestra Montis Regalis, Cristiano De Andrè, Vinicio Capossela e infine anche Raphael Gualazzi.

Il 33enne nato ad Urbino e divenuto famoso nel mondo musicale per aver vinto nel 2011 a Sanremo nella categoria Giovani con “Follia D’amore” e arrivato secondo tra i big nel 2014 assieme ai The Bloody Beetroots con “Liberi O No” è stato intervistato da La Stampa.

Partiamo dal concerto che tenne nella stessa location nel 2011: Gualazzi, che ricordi ne serba? «Formidabili, è raro che in un grande spazio all’aperto si crei una complicità, un rapporto così intimo con un pubblico attento e silenzioso. Capivo dal palco che la gente percepiva ogni minima sfumatura. Il resto lo fece lo scenario della Reggia, il massimo per un appassionato di storia dell’arte come me».

Il concerto del 2014 è molto diverso?  «Sì, perché è figlio di un altro disco, “Happy Mistake”; inoltre allora eravamo in sette, ora saliamo sul palco in dieci, con tre coriste e il trombone che quell’anno non utilizzavamo. Questo nuovo assetto mi permette sia di proporre al meglio i brani del cd più recente, che di arrangiare diversamente qualcosa di ciò che eseguimmo quella sera».

 Due giorni dopo il suo show l’artista con cui ha diviso l’esperienza a Sanremo, il veneto The Bloody Beetroots, è di scena al Kappa Futurfestival del Parco Dora, un raduno techno: che c’entrate l’uno con l’altro? «Io sono arrivato all’elettronica partendo dal jazz e dal funk, dunque da Herbie Hancock e Stevie Wonder. Non sapevo molto della scena attuale, ma l’incontro con Simone è stato naturale. Entrambi volevamo far interagire il suo digitale con il mio blues jazz, così ci siamo messi al lavoro. All’inizio non è stato facile, c’erano anche problemi logistici perché eravamo entrambi in tour. Ricordo una telefonata comica, con lo stesso fuso orario, soltanto che io ero a Tokyo e lui invece in Australia. Poi abbiamo ingranato e sono sicuro che questa esperienza lascerà qualcosa di forte a tutti e due».

Ad agosto nel Salento un suo live sarà aperto da una torinese under 25, Cecilia, che deve ancora incidere il primo disco: l’ha scovata lei? «Un’amica mi ha consigliato di dare un’occhiata alle tracce video caricate da Cecilia su YouTube e sono rimasto folgorato. Voce calda e dolce, personalità, l’idea del tutto inedita di fare cantautorato pop accompagnandosi con l’arpa, anziché con il piano oppure con la chitarra. Sono molto felice di ospitarla sul mio palco salentino e convinto che abbia potenzialità enormi per sfondare ad alto livello».

 Sta scrivendo canzoni nuove? «Sì, verosimilmente il nuovo album uscirà nel 2015. Mi piacerebbe proporne qualche assaggio al pubblico torinese, ma ci sono protocolli piuttosto precisi quando si lavora a certi livelli, non sempre si può agire d’istinto. Io per esempio ho un sogno nel cassetto. Mi piacerebbe, parallelamente alla discografia ufficiale, chiudermi per un paio di giorni in studio con una jazz band e incidere un disco in presa diretta, suonato tutti insieme alla vecchia maniera per sfruttare l’energia dello studio. E pubblicarlo soltanto in vinile».

 Sta seguendo i Mondiali? «Quest’anno no, sono troppo concentrato sulla musica. Li seguii quando l’Italia li vinse in Germania, ora invece sono riuscito a vedere sì e no una partita».

È appena scomparso un grande del soul americano, Bobby Womack: come ricordarlo? «Il miglior modo per ricordare fuoriclasse del genere è trasformare la tristezza per la loro morte in energia e andarsi a riascoltare i tanti capolavori che hanno lasciato e che rimarranno per sempre nella storia della musica».